LA
RICERCA E LA RACCOLTA
Da quanto si è detto a proposito della natura e delle esigenze biologiche
dei funghi ipogei si deduce l'importanza delle operazioni di ricerca particolarmente
nelle tartufaie naturali ma anche in quelle coltivate. La ricerca è
infatti la sola operazione che consente il raccolto dei tartufi e lo sfrutta
mento delle tartufaie. È quindi logico che si siano studiate o sperimentate
delle tecniche
di ricerca ed è comprensibile che in argomento abbiano anche preso
piede degli empirismi più o meno balzani e delle pratiche furbesche
talvolta dannose. L'alto valore commerciale delle specie pregiate di tartufi
oltre ad aver indotto i cercatori dilettanti o occasionali alle suddette
pratiche furbesche, ha pure indirizzato i professionisti a comportamenti
egoistici e concorrenziali che in certi casi hanno presentato dei risvolti
negativi. È anche vero che oggigiorno la ricerca dei tartufi viene
effettuata quasi esclusivamente dai professionisti detti tartufai e in
dialetto cuneese «trifulau». Alcuni di questi fanno della ricerca
dei tartufi la loro attività prevalente durante tutto l'arco dell'anno
e sono in molti casi coltivatori diretti o pensionati. Numerosi sono poi
i semi-professionisti che, avendo occupazioni discontinue o stagionali,
si dedicano alla cerca soltanto nelle stagioni di massima produzione. Sempre
più rari sono invece ormai i cercatori dilettanti, che fanno della
ricerca uno sport da compiere in compagnia col proprio fedele cane, per
i quali ha più importanza la soddisfazione dei ritrovamenti che
il loro valore economico: ciò anche perché sono ormai necessarie
per praticare la raccolta delle autorizzazioni amministrative che in alcune
regioni richiedono persino il superamento di un esame. Sono pure lontani
i tempi in cui della ricerca sportiva si occupavano principi e duchi con
mute di cani e valletti al seguito. Una legislazione basata sulla selezione
delle specie appetibili, dovuta anche alle tradizioni regionali, ha ammesso
la commercializzazione in Italia soltanto di alcune varietà di Tuber
(nove in tutto) restringendo così il campo di ricerca e commercializzazione
a beneficio di una maggiore chiarezza. D'altra parte ci sono leggi che
hanno rinnovato la disciplina della raccolta dei tartufi e che dovrebbero
risolvere annosi problemi, sfatando le usanze pittoresche ma non sempre
edificanti. I problemi sono soprattutto quelli connessi all a sopravvivenza
e al giusto mantenimento delle tartufaie naturali, all'applicazione di
metodi di raccolta non dannosi, alla creazione di possibilità di
impianto di nuove tartufaie con pianticelle micorizzate. Tutte queste operazioni
sono state ostacolate o rese impossibili da un'aleatoria salvaguardia
delle tartufaie, proprie o concesse in sfruttamento, dall'intrusione di
raccoglitori terzi autorizzati e non autorizzati. La legge, ripristinando,
contro certe consuetudini invalse, il diritto di proprietà da parte
del proprietario del fondo dei tartufi come frutti naturali, stabilisce
che la raccolta di tartufi su terreni altrui può costituire furto.
E questo il punto di partenza che offrirebbe la possibilità di trasformare
le tartufaie in «imprese» e di disciplinare meglio la raccolta
che è già spesso effettuata da consorzi raggruppanti i cercatori
professionisti. Tutto dipenderà dall'attuazione pratica che dovrà
essere compiuta dalle Regioni tenendo conto delle esigenze locali e saltando
gli ostacoli e le resistenze dei vari interessati. Quanto alle usanze pittoresche
ma non sempre edificanti, i tartufai professionisti legati alla stagionalità
della raccolta, alla destrezza del cane, ai rapporti con le proprie associazioni,
con i grossisti, con i proprietari dei fondi, sono diventati per forza
psicologicamente diffidenti e, lo ripetiamo, sono stati indotti all'egoismo
e alla gelosia. Fra le usanze invalse c'è stata quella di aggirarsi
di notte, non tanto perché il tartufo bianco, come si dice, sia
più facilmente scovabile, più odoroso di notte, non tanto
per la scusa che l'atmosfera notturna distrae meno il cane, quanto per
non farsi riconoscere, per poter nascondere il raccolto, per non rivelare
i punti di ricerca. Senza contare che il buio notturno è controindicato
alla ricerca del tartufo nero della cui presenza sono indice delle aree
riconoscibili a vista. Partendo dalle indicazioni dettate da una logica
di tipo scientifico si può affermare che già in natura si
constata une netta differenza fra gli indici che possono guidare alla ricerca
del tartufo nero e quelli che soccorrono per il ritrovamento del tartufo
bianco. Un indice della possibile presenza di tartufi neri consiste nell'avvistamento
delle caratteristiche chiazze prive di vegetazione erbacea, con terra secca
e soffice come fosse bruciata. Queste tartufaie visibili, che assumono
diversi nomi dialettali nelle varie regioni di produzione (aree bruciate,
cave, pianelli, pasture....) sono la conseguenza della liberazione di sostanze
antibiotiche da parte del micelio e dei carpofori del tartufo, che inibiscono
nello spazio circostante lo sviluppo della vegetazione erbacea spontanea.
Il tartufo nero pregiato è reperibile ad altitudini variabili fra
i 400 e i 1.000 m s.l.m. in terreni preferibilmente esposti a sud o a ovest,
in prossimità di alberi isolati o di boschi radi, nei quali il terreno
può essere raggiunto dalla luce e dal calore solare. Epoche e terreni
diversi guidano poi alla ricerca delle varietà diverse, pur esistendo
casi di promiscuità e contemporaneità. I tartufi bianchi,
invece, non determinano la scomparsa della vegetazione erbacea e non danno
alcun segno esteriore della loro presenza: essi possono essere rintracciati
soltanto per il loro profumo dal fiuto del cane o del maiale. Il tartufo
bianco pregiato non si trova generalmente ad altitudini superiori ai 5/600
m s.l.m., vegeta preferibilmente in luoghi freschi, nelle vicinanze oppure
lungo i corsi d'acqua o i fossi, nei boschi non fitti o più ancora
dove ci sono piante isolate o filari d'alberi come sugli argini dei fiumi.
Anche il bianco pregiato, il cui periodo di raccolta è breve (ottobre-dicembre)
può convivere con altre varietà. Le indicazioni di presenza
dei tartufi, oltre a quelle di cui si è detto e a parte la conoscenza
delle piante con cui le varie specie sono simbionti, sono state anche collegate
all'osservazione di certi fenomeni, non tutti altrettanto indicativi e
sicuri. Per esempio il tentativo di individuare i posti dove già
sono stati reperiti dei tartufi bianchi e esiste quindi la possibilità
di riproduzione (posti che i cercatori se ne guardano bene dal rivelare
dopo averli scoperti) può passare attraverso il riconoscimento di
piccole fosse o di scavi mal ricoperti; però la tartufaia, in questi
casi, potrebbe essere danneggiata odistrutta proprio per la trascuratezza
dei precedenti cercatori che non hanno provveduto a chiudere bene le buche
scavate per raccogliere i tartufi, cancellandone così ogni traccia:
questa operazione, gelosie a parte, è infatti indispensabile per
preservare il micelio e le radici micorrizate. Si è creduto di poter
reperire i tartufi neri seguendo le evoluzioni di una varietà di
mosca la quale ricerca il tartufo nernoterlo che raggiunge attraverso
le screpolature del terreno e deporvi le uova. Si è anche pensato,
sempre per il tartufo nero, di zappare sistematicamente il terreno delle
tartufaie visibili: un sistema questo evidentemente deleterio, che può
forse consentire di estrarre dei tartufi ma distrugge la tartufaia asportandone
frutti sia acerbi che maturi e rompendone i miceli e le micorrize. Si tratta
comunque di sistemi non previsti o vietati (come vari altri) essendo ammessa
per legge soltanto la raccolta nei periodi fissati e l'impiego come mezzi
di individuazione del cane o del maiale. I1 cane resta di fatto l'unico
vero aiuto per il ricercatore che sia in armonia con le esigenze dell'ambiente
e con una logica pratica. A meno di non voler girare per i boschi, come
i nobili russi dell'epoca degli zar, tenendo al guinzaglio degli orsi,
anch'essi ottimi fiutatori di tartufi, o di non voler contendere ad ogni
ritrovamento con il proprio maiale per sottrargli il tartufo. I1 cane con
il suo fiuto sviluppato e le sue doti di obbedienza, fedeltà e agilità
è in grado di individuare (senza danneggiare egli stesso, come fanno
i maiali, i cinghiali e certi cercatori bracconieri e senza costringere
l'uomo a danneggiare il bosco con scavi eccessivi) tutte le specie di funghi
ipogei odorosi. Un adeguato addestramento può inoltre orientare
la sua attenzione solo verso determinate specie. Si dice che lo Spinone
sia il cane migliore per razza allo scopo ma i cani da caccia come lui
possono essere distratti da altri interessi e da altri odori; per questo
sono considerati preferibili in assoluto i bastardi che non abbiano altre
specifiche inclinazioni. Si preferiscono inoltre quando sono di taglia
medio-piccola sia per facilità di trasporto sia perché passano
agevolmente nelle macchie fitte. C'è chi addestra anche cani adulti
ma l'addestramento ideale incomincia a sei mesi di età. Si incomincia
ad abituare il cane a riportare una piccola palla di stoffa lanciandola
sempre più lontana; poi viene introdotto nella palla un pezzetto
di canfora o di formaggio fermentato, abituando il cane a cercarla in luoghi
sempre più nascosti, dapprima lanciandola a vista, poi nascondendola
dove il cane non vede. La successiva fase è quella di sotterrare
la palla. È importante che ogni ritrovamento venga premiato con
un pezzo di pane, una crosta di formaggio o altro cibo e magari con qualche
carezza. In seguito la canfora è sostituita con un pezzetto di tartufo:
vengono ripetute in questo modo le fasi precedenti. Infine, si elimina
anche la stoffa per abituare l'animale a cercare il tartufo di per se stesso.
Per imparare a lavorare bene il cane deve avere fame.
Ideale per un perfetto apprendimento è anche, benché
ciò sia difficilmente possibile, l'affiancare il bastardino da addestrare
ad un adulto già ammaestrato, sfruttando il naturale istinto di
emulazione. Un eccesso di «adattamento» del cane che finisce
invece per risultare un errore è quello di castrare la bestiola
per eliminarne anche l'interesse olfattivo per la femmina: e pensare che
con molta probabilità i figli di un buon cercatore sarebbero potenzialmente
degli ottimi cani da tartufo.
Alba, capitale tartuficola della Provincia di Cuneo, ha voluto in anni
recenti riconoscere il ruolo e i meriti dei bravi cani da tartufo, dedicando
loro una pittoresca manifestazione che raduna i «trifulau»
con i loro fedeli compagni a quattro zampe.
I cani, raramente di razza, sempre carichi di strana simpatia, sfilano
in passerella fra gli applausi del pubblico divertito, esibendo la loro
buffa, intensa attenzione di bestiole addestrate e il loro personale carattere,
più o meno aggressivo, affettuoso, pazzerellone; essi ricevono una
propria carta di identità con tanto di nome, quale patente ufficiale
della loro professionalità. Naturalmente dietro il cane, per bravo,
addestrato e patentato che sia, c'è sempre l'uomo con la sua intelligenza,
la sua pazienza, la sua capacità e, ovviamente, il suo interesse:
appena il cane fiuta e gratta il terreno, è il padrone che subentra
e rifinisce la buca con l'apposito strumento (una corta, piccola zappa),
raccoglie con la dovuta precauzione il tubero, ricopre le radici e il micelio.
Quel po' di fascino, di alone di mistero collegato coi tartufi si sposta
senza scalfittura dalle tartufaie ai mercati. Consorzi e grossisti, cercatori
e commercianti al dettaglio hanno le proprie formule, giocano le proprie
«chances» sul filo della domanda e dell'offerta. I mercatini
di «trifulau», dove il cercatore vende direttamente al consumatore,
come quelli di Alba o di Ceva, sono al tempo stesso un fatto di costume
e di folclore e un contraltare del commercio organizzato, della distribuzione
commerciale razionale. Non sono però necessariamente una concorrenza
a livello di prezzo, perché anche il tartufaio cerca di spuntare
al mercatino il massimo possibile per il proprio cartoccio. Noi, mettendoci
dalla parte del compratore-consumatore, consigliamo, a scanso di equivoci,
a chi acquista i tartufi, di farsi prima almeno un'infarinatura sulle caratteristiche
e le stagionalità delle varie specie commerciabili di cui diamo
di seguito la descrizione.