CALABRIA
Il nord montuoso della regione confina con la Basilicata, mentre la punta sud-occidentale sfiora la Sicilia; il resto della Calabria è immerso nel Tirreno a ovest e nello Ionio a sudest. Propaggini meridionali dell'Appennino Lucano sono la Catena Costiera, 80 km di monti scoscesi, paralleli al Tirreno e terminanti nel Cosentino laddove si sgrana il complesso dei massicci antichi - cristallini, granitici e guessici della Sila (vertice Monte Botte Donato, 1928 m) con una parte del Parco nazionale, e la Catena delle Serre, dopo la stretta (Golfo di S. Eufemia-Golfo di Squillace) e, a chiudere, l'Aspromonte con l'altra porzione del Parco. Regione di rara e selvaggia bellezza. Impenetrabili boschi di conifere e alti pascoli caratterizzano Sila e Aspromonte, a testimoniare la varietà della flora, dalla macchia mediterranea nei segmenti litoranei alle colture intensive nelle vallate che si riversano nel Tirreno, e soprattutto nello Ionio: frumento, viti, oliveti, aranci, mandarini, limoni, bergamotti, cedri, pompelmi, chinotti, fichi, frutta e ortaggi. Vasti castagneti sui pendii che si inerpicano sulle montagne. Pochi i fiumi: il Lao sfocia nel Tirreno a nord, il Crati bagna la Piana di Sibari e si riversa nello Ionio. Una rosa di fiumare si dirama dall'Aspromonte su entrambi i mari.
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Le feste.
La seconda e terza settimana di maggio, processione al Santuario della Madonna di Capocolonna a Crotone, con ritorno via mare: complessi folcloristici e musicali e Sagra del pesce: aguglie, triglie, totani, seppie, tonni, costardelle; Festa di San Biagio a Serra San Bruno (CZ) il 3 febbraio: si aiutano i corteggiatori che bussano alla porta delle ragazze con un "abbacolo" a forma di punto interrogativo, se lei dice si, spezza la focaccia e ne tiene per sè un pezzo, se dice no ringrazia e chiude la porta.

Artigianato. Tappeti, arazzi, gonne, scialli, tovagIie, borse, sottopiatti, centrini, coperte di lana, di seta, di cotone, di lino, lavorati con antichi telai a mano) a Longobucco, a Vaccarizzo Albanese, nel Cosentino. E ancora grande varietà di recipienti in ceramica lavorati col tornio a pedale a Squillace, Praia a Mare, Seminara. E pipe, con l'insuperabile ciocco d'erica delle Serre, a Bognotauro (CZ).

Proverbio. U riccu puri allu 'mbiernu trova la seggia bella e priparata (Il ricco anche all'inferno trova la sedia bella e pronta).

Si mangia. Terra di contrasti, con una luce africana nel mare e scorci di Sila che sembrano Svizzera, la Calabria ha una cucina dai sapori decisi, legata al peperoncino (cancarieddu). La specialità più interessante è la mustica, detta anche mestica, rosamarina e caviale dei poveri. Si tratta di piccole acciughe (quelle che vengono chiamate gianchetti dai genovesi), esposte al sole su tavole di legno, coperte di peperoncino e conservate sott'olio. Tra i primi piatti, molto paste e poche minestre. I maccaruni, preparati arrotolandoli attorno a un ferro da calza, e i fusilli, in genere conditi con ragù di carne di maiale, pomodoro e peperoncino. Per le grandi occasioni si preparano solitamente le sagne chine (lasagne piene). La pasta va in forno a strati, alternata a polpettine, uova sode, mozzarella, verdure, pecorino grattugiato. Fra le minestre, la più antica e il maccu di fave, un semplicissimo passato insaporito direttamente in tavola da olio, pecorino e pepe nero. Nel Cosentino si consuma la licurdia, una zuppa a base di cipolle e patate. Nei paesi che si affacciano sullo Stretto di Messina si fa largo consumo di pesce spada, cucinato in svariate maniere: alla ghiotta; a fette, con olive e capperi, arrotolate a involtino, fritte nell'olio e poi rifinite in tegame, col pomodoro; a involtino; alla graticola con ripieno di mozzarella, prosciutto e aromi; alla bagnarese, il pesce tagliato a tranci messi a bagnomaria con olio, limone, capperi origano; col salmoriglio, che è una gustosa salsa a base di olio, limone, origano e prezzemolo, che insaporisce i tranci arrostiti. La Calabria ha poi una tradizione molto valida per quanto riguarda i dolci: i fichi ammandorlati, i mostaccioli, il torrone gelato, la cubbaita, che è una sorta di torrone morbido simile a quelli turchi e greci.
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Si beve.
Il vino calabrese ha una storia altalenante. Sicuramente "in" ai tempi della Magna Grecia, quando gli olimpionici brindavano con il vino Crimisa, prodotto tra Sibari e Crotone, ma il vino calabrese ritorna in auge nel '400: 1200 botti imbarcato per Barcellona, 800 verso Bruges. Sante Lancerio, cantiniere papale, nel 1549 si dilunga a citare il Chiaretto di Cirella, quello di Centula, il Falsamico di Paola. Se quei vini esistessero ancora, si chiamerebbero "crus". Il vino calabrese, nell'Italia unita, è più che altro considerato come un supporto per i vini più deboli. Ricco di colore e gradazione, è l'ideale per i tagli. Continua ad avere richiesta, ma perde identità e immagine, componenti essenziali per potersi affermare sul mercato. Il Cirò guida la riscossa, è stato il primo a ottenere il riconoscimento di vino Doc nel 1969. Lo si produce nei comuni di Crucoli, Melissa, Ciro e Ciro Marina: i due ultimi hanno diritto anche alla sottospecificazione geografica "Ciro rosso classico". E' ottenuto da uve Gaglioppo, con minime percentuali (fino al 5 per cento) di Greco bianco e Trebbiano toscano. E' un rosso robusto, vellutato, di temperamento. A nostro avviso, i punti qualitativamente più alti la Calabria, però, li raggiunge nei vini da dessert: il Greco di Bianco, il Mantonico, il Moscato di Saracona. Questi ultimi, quasi introvabili.