CAMPANIA
Gli
oli, molto diversi per la grande differenza varietale e per
gli influssi locali, possono mediamente descriversi come fluidi, piuttosto
dolci (da olive colte mature),
tenui di profumo. Però vanno ammesse larghe
eccezioni (ossia oli di nota aromatica intensa) dovute alla diffusa introduzione
di varietà olivicole provenienti da altre regioni e specialmente
dalla Toscana e all'adozione in alcune aree di nuovi modelli di olivicoltura
che hanno soppiantato i vecchi impianti (tuttora predominanti) spesso irregolari,
plurivarietali con forme a vaso, assurgenti. La Campania è
ricca di varietà d'ulivi. Fra le cultivar autoctone o tradizionali
si possono ricordare: nel Salernitano la Pisciottana, la Rotondella, la
Carapellese, 1'Ogliastro; nel Beneventano l'Ortice, l'Ortolana, la Minutella;
nell'Avellinese la Ravece; nel Casertano la Caiazzana, la Corniola, la
Palombina, la Sessana, l'Olivella, la Tonnella. Le cultivar importate sono
specialmente Frantoio e Leccino dalla Toscana, poi Coratina, Carolea e
Ogliarola soprattutto dalla Puglia. Fra le zone olivicole più cospicue
spiccano la Valle Telesina e il Taburno a ovest e il Tammaro a est di Benevento;
la penisola Sorrentina nel Napoletano e fino a Salerno; il Cilento nel
Salernitano; ma tutte le province campane, con le accennate prerogative,
si fregiano della presenza dell'ulivo, testimonianza d'una tradizione indiscutibile
che è stata per altro (e a torto) discussa soltanto perché
un tempo l'olio d'oliva era un prodotto più prezioso e costoso di
quanto non sia oggigiorno, per cui le popolazioni indigenti vi rinunciavano
talvolta ripiegando sui grassi suini, alternativa di cui rimangono effettivamente
esempi nella vecchia cucina contadina della Regione.