EMILIA ROMAGNA
La fama delle colture e dei prodotti pedemontani emiliani (formaggi, latticini, salumi), potrebbe far passare inosservata l'olivicoltura romagnola e le conseguenti abitudini anche culinarie e di consumo che invece esistono da tempi remoti, sussistono e ultimamente hanno ricevuto nuovo impulso dal generale riconoscimenti dei benefici dietetici e della appetitosa bontà della cucina all'olio d'oliva. Così anche l'olivicoltura romagnola sta espandendosi limitatamente però alle aree vocate come le colline ben esposte delle valli del Rubicone, del Savio, del Conca o come la celebre Vena del Gesso nella valle del Lamone, catena di colline esposte a sud-est che si sviluppano sotto Faenza sulla riva sinistra del fiume e hanno una curiosa costituzione pedologica che conferisce alle uve e alle olive caratteristiche particolari. I poli olivicoli sono comunque quello del Riminese, con produzione relativamente abbondante, di buona qualità ma assai frazionata e specialmente destinata all'autoconsumo o alla vendita all'ingrosso e quello del Faentino dove a Brisighella una cooperativa molto attiva e ben organizzata ha fatto conoscere e apprezzare gli oli locali, specialmente eccellenti, sui più quotati mercati al dettaglio spuntando prezzi equi ma assai elevati per una produzione estremamente limitata. Nei vecchi oliveti romagnoli a coltura promiscua e nei nuovi impianti specializzati le cultivar variano ma ripetono in parte quelle toscane e quelle delle confinanti Marche: Frantoio, Moraiolv, Pendolino, Correggiolo... Fà eccezione anche in questo senso il Brisighellese ossia la citata Vena del Gesso con la cultivar autoctona detta Nostrana e particolari clonazioni di adattamento antico come la Ghiacciola, forse derivata dal Leccino.