ITALIA, PAESE DELL'ULIVO
Tutte
le regioni italiane, anche quelle settentrionali
ad eccezione del Piemonte e della Valle d'Aosta, coltivano ulivo e producono
olio grazie alla particolare conformazione del Paese che si distende come
un lungo molo sul mar Mediterraneo, toccando all'estremità meridionale
il 36° parallelo (isola di Pantelleria) e all'estremità settentrionale
il 46° parallelo (Friuli, laghi subalpini).
Queste colture settentrionali oltre il 45°
parallelo sono dovute a microclimi favoriti dal maestoso baluardo alpino
e dalla presenza di numerosi, grandi e piccoli laghi morenici, veri e propri
serbatoi di calore e di umidità favorevoli a tutte le colture di
tipo mediterraneo, agrumi, vite e ulivi compresi.
Paese orograficamente
tormentato e interamente percorso da montagne
che digradano verso le coste solcate da fiumi e da torrenti impetuosi,
l'Italia ha una grande prevalenza di suoli collinari e pedemontani e di
accumuli alluvionali che sono particolarmente vocati per le colture arboree.
Per quanto concerne la superficie coltivata che si può stimare attorno
a 1.200.000 ettari quasi tutti ormai a coltura specializzata, si stima
che un 60% di essa si trovi in collina, un 11 % in montagna e soltanto
un 29% in pianure quasi sempre costituite da altopiani come per esempio
il Tavoliere della Puglia.
Ciò significa che le colture hanno
una dislocazione adatta a produrre oli pregevoli ma non alte rese quantitative.
D'altronde, pur esistendo in Italia una nuova
olivicoltura con estensioni olivetate razionalizzate e meccanizzate, le
suaccennate colture di altura sono difficilmente automatizzabili, richiedono
particolari cure colturali e costose lavorazioni, molta mano d'opera per
la più accurata delle raccolte che è quella manuale e non
possono quindi dare prodotti a basso costo: danno però olive ed
oli di assoluta eccellenza e di spiccata tipicità.
Il punto saliente dell'olivicoltura
italiana sta nella differenza di prodotti
dovuta alle numerosissime cultivar e clonazioni adattate alle diverse condizioni
pedoclimatiche (una recente pubblicazione annovera 476 cultivar con 1.509
sinonimi) e alla natura stessa dei terreni alle diverse latitudini le quali
comportano fra l'altro notevoli differenze nella media annua di ore di
sole.
Le Denominazioni di Origine Controllata (D.O.C.),
ossia le Denominazioni di Origine Protetta (D.O.P.) europee e le stesse
Indicazioni Geografiche Protette (I.G.P.), dovrebbero servire proprio ad
evidenziare le differenze dei prodotti con riguardo alla loro provenienza
e alle loro peculiarità connesse alla varietà di frutto,
alle lavorazioni tradizionali e via dicendo:
esse vengono quindi ad evidenziare anche le piccole suddivisioni a livello
di peculiarità non solo regionali ma zonali o addirittura locali.
Esistono però anche delle utili suddivisioni
che danno un'idea delle differenze salienti dei prodotti connesse con caratteristiche
di vaste zone olivicole. Si può ricordare la suddivisione basata
sul clima che fu formulata da A. Morettini nella sua opera "Olivicoltura"
(1972) e che fa riferimento alla fitogeografia floristica, ossia alla classificazione
che fissa l’astensione dei territori occupati da gruppi sistematici affini
e confronta le zone di distribuzione di certe specie o di un'intera flora.
Il Morettini situò nelle zone assegnate
all'alloro (Lauretum) e marginalmente al castagno (Castanetum) le
aree di coltura dell'olivo e le suddivise in tre sottozone termiche: la
calda, la media e la fredda.
Questo tipo di distinzione importa soprattutto
tecnicamente ed economicamente.
Infatti, per esempio nella sottozona olivicola
più fredda ricorrono danni da gelo tre, quattro volte per secolo
(negli ultimi due secoli la cronaca riporta le annate fredde del 1829 -
1847 - 1877 - 1901 - 1929 - 1956 - 1985) con la conseguente problematica
di esposizione delle colture, di scelta delle altitudini coltivabili adatte
(di solito quelle comprese tra i 200 e i 550 m/s.l.m.), di selezione delle
varietà acclimatate, eccetera.
ITALY ITALIA
Nella
sottozona calda e in quella media insorgono
problemi diversi, come per esempio quello connesso con possibili deficienze
idriche e quindi con le tecniche di irrigazione: comune però è
la necessità di selezione delle cultivar adatte di varietà
acclimatate. Il tutto con ovvie ripercussioni anche sulle caratteristiche
del prodotto (olio, soprattutto, ma anche olive da mensa) da tenere presenti
sia a livello di impianto e coltivazione sia a livello di distinzione delle
qualità in base alla provenienza.
Come tutte le classificazioni teoriche, anche
questa è arbitraria se viene presa alla lettera, generalizzando
eccessivamente e senza considerare le necessarie eccezioni.
Si può dire che la
fascia settentrionale corrisponde alle
colture liguri, a quelle dei laghi prealpini e alle microaree più
orientali: ma si osserva che allora la fascia include zone climatiche (precedente
suddivisione) diverse (calda quella della Riviera, media quella dell'entroterra
ligure, fredda quella dei laghi...) e varietà coltivate diverse
(Taggiasca ligure, Casaliva gardesana, Leccino o Moraiolo friulani, etc.).
Allora la tipicità comune, che consisterebbe in una maggior fluidità
e dolcezza dei prodotti, non può essere affermata in assoluto: anche
perché ci sono altre variabili di cui tenere conto quali l'epoca
di raccolta, i metodi di estrazione, etc.
ITALY ITALIA
La fascia centrale
può includere l'Emilia e Romagna,
la Toscana, le Marche, l'Umbria e il Lazio e si può ritenere zona
di oli molto sapidi e aromatici, di medio impasto e di colore carico: ma
essa comprende aree sia di clima medio che di clima freddo (coste, zone
appenniniche) e numerose microaree notoriamente particolari e diversificate.
Lo stesso si può dire per Meridione e Isole,
ai quali vengono attribuiti oli più densi e strutturati, con sapori
più mandorlati e pastosi: anche al sud ci sono aree climatiche medie
e fredde (come le zone montagnose) e zone specifiche (Gargano, Piana di
Bitonto, Belice...) con prodotti di carattere non classificabile nella
suddetta norma.