I
piedi non calzati costituivano indubbiamente l'optimum per ottenere
una pigiatura soffice e quindi un vino di qualità ma, pur usando
una grande perizia, lasciavano una notevole quantità di mosto nella
vinaccia: un vero patrimonio. Per il nostro vignaiolo primitivo questo
era insopportabile ed ecco che si arrivò all'invenzione del torchio.
Pare che gli egizi ne usassero uno semplicissimo, quanto poco efficace,
costituito da un sacco appeso come un'amaca tra due sostegni. Al suo interno
si metteva la vinaccia e poi, con l'aiuto di due bastoni infilati tra le
corde di tensione, si torceva fino a recuperare la maggior parte possibile
del mosto. All'epoca romana il torchio è
una macchina monumentale. Non si sa se fu proprio questo popolo
sempre in armi a perfezionarlo, ma furono i celebri scrittori di scolastica
memoria a descriverne i vari tipi in uso. Tra questi il modello più
antico era costituito da un piatto di pietra che supportava le vinacce,
da un robusto contropiatto di legno che le copriva, da una ingegnosa serie
di cunei inseriti tra il contropiatto e un punto solidale con la base che
permetteva, man mano si facevano avanzare i cunei, di far leva affinchè
le vinacce venissero compresse tra piatto e contropiatto.
Al macchinoso sistema di cunei si sostituì
quasi subito una lunga trave azionata da un verricello, che in poco tempo
si trasformò in una vite di legno alla quale veniva legato un pietrone.
E’ questo il cosiddetto torchio latino. Con il perfezionarsi dell'ebanisteria,
la lunga trave si trasformò in un capitello poco più largo
della base del torchio sul quale erano inserite due viti che, azionate,
producevano la pressione necessaria sul contropiatto e quindi sulle vinacce.
Nella figura vediamo un torchio alla genovese
già in uso nel II secolo a.C. Plinio, curioso e paziente nel rilevare
ogni forma di ingegno che lo colpisce, descrive un tipo di torchio dove
due montanti fanno corpo unico con un capitello, che a sua volta alloggia
una madrevite nella quale si inserisce una vite. Questa, azionata,
si allunga verso il basso (è discendente), comprimendo il contropiatto
e quindi la vinaccia.
Questo torchio - che prende appunto il nome
di torchio di Plinio - si perfezionò ulteriormente, quando alla
prima vite se ne aggiunse un'altra. Naturalmente queste macchine non servivano
solamente per la vinaccia vergine residua dai palmenti ma anche per quella
fermentata.
E' interessante notare che, fatta eccezione
per il torchio a sacco egiziano e quello a cunei, gli altri tipi non si
scaglionarono nei diversi periodi storici secondo una ciclicità
dovuta all’innovazione, ma convissero per decine di secoli e possono ancora
oggi far bella mostra di sé nei nostri musei per tre motivi : erano
preziosi, erano costruiti con legni resistentissimi e furono ancora usati
nel nostro secolo convivendo per più di cent’anni con quelli metallici
e per qualche decennio con quei mostruosi capolavori di ingegneria che
sono i loro pronipoti.